Il ragù napoletano non è solo un piatto. È una promessa fatta al tempo, un rituale che profuma di domenica, di famiglia e di amore. Alla Cantina del Sole, nel cuore del centro storico di Napoli, lo preparo così, come mi è stato insegnato e come voglio trasmetterlo a chi entra nella mia cucina.
Il segreto, se così si può chiamare, è nella lentezza. Il ragù napoletano non si cucina: si “pippea”, come diciamo noi. Deve sobbollire piano piano, borbottare appena, per ore. Io comincio la mattina molto presto, quando fuori è ancora buio. In pentola metto pezzi di carne selezionati: tracchie di maiale, muscolo di manzo, salsicce, e ogni tanto qualche braciola avvolta con aglio, prezzemolo e pecorino.
La cipolla, tagliata sottile, la faccio stufare nell’olio extravergine d’oliva finché non diventa trasparente. Poi aggiungo la carne, che deve rosolare bene, prendere colore e sapore. Quando è il momento giusto, arriva sua maestà: ‘a pummarola, il passato di pomodoro. Deve essere denso, corposo, profumato. Io uso solo passata di alta qualità, preferibilmente fatta in casa d’estate.
Poi inizia la magia. La fiamma si abbassa, il coperchio si scosta appena, e il ragù comincia a parlare. Lo lascio andare per sei, sette, anche otto ore, mescolando ogni tanto, con rispetto. Il sugo si scurisce, si addensa, si arricchisce degli umori della carne. Il profumo invade il vicolo, richiama i passanti, fa tornare i clienti, li fa sorridere prima ancora di sedersi.
Il ragù napoletano non è solo un condimento: è un’esperienza. A Napoli, condisce la pasta della domenica – io amo servirlo con i ziti spezzati a mano – ma è anche sublime gustato con un pezzo di pane fresco, quando proprio non si riesce ad aspettare l’ora di pranzo.
Quando lo preparo alla Cantina del Sole, ogni volta è come la prima volta. È un omaggio a Napoli, alle sue mamme e alle sue nonne. E ogni cliente che lo assaggia, per me, diventa parte di questa storia.